11/11/2015, Cesena
Ho deciso in questo post di riportare i caratteri fondamentali della figura di Cesare Pavese per contestualizzare meglio l'autore all'interno del panorama letterario italiano della prima metà del XX secolo.
Il Suicidio
Uccidendosi, Pavese lascia pronto per la stampa il suo diario (Il Mestiere di vivere), al quale egli stesso ha dato il titolo Il mestiere di vivere. Pubblicato nel 1952, raccoglie pensieri che vanno dal 1935 all’imminenza della morte. L’argomento prevalente è la letteratura, presentata come indicazione di modelli, progetti, bilanci relativi alle opere compiute. Tali motivi sono tuttavia alternati alla cronaca dei fallimenti esistenziali, soprattutto amorosi che minano la vita dell’autore e lo portano ad un profondo senso di solitudine. Per questo il diario ha svolto una funzione estremamente importante per la creazione e la costruzione della figura dello scrittore solitario vinto dalla vita e dalla storia.
Come già detto in precedenza Pavese ha saputo creare il mito ancora oggi stimato, dello scrittore solitario vinto dalla vita e dalla storia, che cede infine al ‘vizio assurdo’ (il suicidio), vagheggiato tutta la vita. Tuttavia, non si può ricondurre il suicidio ad un semplice e riduttivo gesto impulsivo e di rinuncia: per tutta la vita lo scrittore pensa ad esso come all’affermazione di una libera scelta, come ad un viaggio chiarificatore/risolutore verso il mistero dell’esistenza. Tale intrigo trova la sua risoluzione nel concetto di eterno presente, condizione nella quale tutto vive e tutto si annienta in un ciclo sempre uguale a sé stesso dove nulla si crea o si distrugge e dove non c’è uno sviluppo che cambia le cose. Pavese carica il concetto di morte e, conseguentemente, di suicidio, di una forte tensione conoscitiva e li considera come unici gesti possibili per affermare la propria volontà. A testimonianza del ruolo della morte l’autore nel 1937 aveva scritto:
Non riesco a pensare una volta alla morte senza tremare a quest’idea: verrà la morte necessariamente, per cause ordinarie, preparata da tutta una vita, infallibile tant’è vero che sarà avvenuta. Sarà un fatto naturale come il cadere di una pioggia. E a questo non mi rassegno: perché non si cerca la morte volontaria, che sia affermazione di libera scelta, che esprima qualcosa? Invece di lasciarsi morire? Perché?
La Teoria del Mito
La centralità del mito nel pensiero di Pavese emerge con chiarezza nel dopoguerra, con la pubblicazione della raccolta Feria d’agosto (datata 1946), nella quale confluiscono racconti, prose, liriche ed enunciazioni di poetica composti in precedenza nelle quali lo scrittore tenta di delineare una chiara e coerente teoria del mito.
Il punto di partenza del discorso pavesiano è costituito dal riconoscimento del valore
assoluto del mito, che è uguale per tutti, un esempio che vale per sempre, ciò che non si dimostra condizionato dalle forme del conoscere finito o dal divenire. Il Mito conosce, dunque, il concetto di sopratemporalità e sopraessere(sopraessenza), (concetto) che racchiude in sé la vita/essenza del mondo nel suo infinito divenire. A tal proposito Cesare Pavese scriverà:
Il mito è insomma una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte,
e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori del tempo e lo
consacra rivelazione. Per questo esso avviene sempre alle origini, come nell’infanzia: è fuori del tempo.
Sulla linea delle teorie di Vico e Jung esistono patrimoni di conoscenze innate che ciascuno possiede esclusivamente per il fatto di appartenere al genere umano. Tale patrimonio viene però gradualmente dimenticato e soffocato dal pensiero logico-razionale tipico degli uomini nell’età adulta. Nel corso dell’infanzia l’uomo, però, immune dall’azione della ragione, vive il proprio mito personale, ovvero esprime al meglio le proprie conoscenze innate ma, crescendo, acquista consapevolezza di ciò, e si allontana dall’espressione di queste. Una volta allontanatosi da ciò è impossibile tornare indietro e si colloca a questo punto i desiderio dell’irrealizzabile ritorno alle origini,del viaggio indietro nel tempo verso il primitivo. In ciò la letteratura svolge un ruolo decisivo; essa inventa i miti, non nel senso che li crea dal nulla, ma nel senso che li porta a chiarezza, dà ordine e forma a ciò che, in sé, appartiene al caos primordiale. Lo scopo della letteratura è quello di portare a chiarezza i miti senza però tradirli dando una spiegazione razionale.
Traduttore del mito Americano
Nell'opera Pavesiana il momento dell'Università ha rappresentato per lo scrittore l'opportunità di avvicinarsi alla letteratura Americana. Egli ha contribuito infatti alla redazione della celebre ''Antologia Americana'', raccolta che ha contribuito alla diffusione del mito americano nella cultura italiana.
L'inappartenenza alla resistenza
Cesare Pavese vive negli anni del fascismo, periodo in cui la partecipazione Politica era di fondamentale importanza. Ciò genera nell'animo dello scrittore un conflitto tra la volontà di essere politiquement engagé e la sua profonda estraneità alle ideologie e alla politica in generale. Questo conflitto lacererà l'animo dello scrittore e ne determinerà un forte senso di inadeguatezza ed emarginazione.
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