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venerdì 13 novembre 2015

''Verrà la Morte avrà i tuoi Occhi'' di Cesare Pavese

13/11/2015, Misano Adriatico


Ho deciso oggi di parlare di una delle mie poesie preferite della letteratura italiana. In questo componimento trovano espressioni alcuni tratti fondamentali e universali della vita umana, e ci ricorda quanto, la nostra vita, non sia altro che soffio vitale e che, coloro che si credono potenti, devono ricordarsi della loro condizione di transitorietà.

È la poesia che dà il titolo all’ultima raccolta di Pavese uscita postuma. In questa lirica trovano espressione l’amore non ricambiato per l’attrice americana Constance Dowling e la tentazione del suicidio, considerato come vizio assurdo. Tuttavia, il dato autobiografico dello scrittore è traslato in una dimensione assoluta ed assume, dunque, valenza universale.



Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –

questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

22 marzo ’50


Nella Poesia coesistono due concetti di morte e suicidio, rispettivamente presentati nella prima e nella seconda strofa della lirica composta in novenari.

1ª Strofa: la morte è presentata nei termini di una frequentazione quotidiana, come un’abitudine. Essa viene considerate come una fuga dalla realtà e permette l’evasione dalle responsabilità e dalle sofferenze della vita. In questa parte della lirica essa viene comparata ad un assurdo vizio; vizio in quanto permetta l’evasione dalle responsabilità e dalle sofferenze, ma allo stesso tempo assurda perché incomprensibile per le persone che vivono la loro vita con naturalezza e istintiva sintonia. Per l’autore in questa prima strofa la morte rappresenta l’unica via di fuga alla fatica di vivere la diversità rispetto agli altri e al suo profondo senso di esclusione e solitudine. In questa prospettiva la donna è irrimediabilmente lontana ed estranea alle sue inquietudini e ai suoi sentimenti; ella si guarda, in effetti, narcisisticamente nello specchio chiudendosi in sé stessa rifiutando l’amore per il poeta assieme ad ogni qualsiasi forma di comunicazione con esso. Tutto ciò accentua le sofferenze dell’autore.

2ª Strofa: la morte chiama in causa tutti gli uomini e viene calata in una dimensione universale, che è la stessa per tutti . In questa strofa la morte è intesa come rivelazione della verità, risposta alle domande che nella vita restano irrisolte e opportunità di rivedere chi è lontano o morto da tanto tempo. In questa prospettiva lo specchio non è più il simbolo nel narcisismo, ma il luogo di incontro tra i vivi e i morti. La donna non è più individualmente definita e ricondotta all’esperienza autobiografica del poeta, ma è la sintesi degli aspetti opposti e antitetici dell’esistenza (vita e nulla). L’immagine della donna non è chiaramente definita, ma rimane imprecisa, approssimativa, ed è presentata attraverso l’uso della similitudine (come). L’insistenza sul motivo dello sguardo (verrà la morte avrà i tuoi occhi) ed il silenzio religioso (ascoltare un labbro chiuso) permettono al poeta di discendere nell’abisso primordiale (gorgo) da cui tutto ha avuto inizio e a cui tutto ritorna.

In questa poesia ricorre, inoltre, il tema della vita legata imprescindibilmente alla morte e soggetta come tutte a tale principio, che è dunque necessario ed inevitabile. A tal proposito, L’immagine della donna che si confonde ambiguamente con quella della morte ritorna nella lirica leopardiana ‘’A Silvia’’ nella quale il poeta simboleggia con la morte della ragazza la caduta delle illusioni, delle speranze e delle gioie tipiche della giovinezza.

mercoledì 11 novembre 2015

Caratteri fondamentali della figura di Cesare Pavese

11/11/2015, Cesena 

Ho deciso in questo post di riportare i caratteri fondamentali della figura di Cesare Pavese per contestualizzare meglio l'autore all'interno del panorama letterario italiano della prima metà del XX secolo.

Il Suicidio
Uccidendosi, Pavese lascia pronto per la stampa il suo diario (Il Mestiere di vivere), al quale egli stesso ha dato il titolo Il mestiere di vivere. Pubblicato nel 1952, raccoglie pensieri che vanno dal 1935 all’imminenza della morte. L’argomento prevalente è la letteratura, presentata come indicazione di modelli, progetti, bilanci relativi alle opere compiute. Tali motivi sono tuttavia alternati alla cronaca dei fallimenti esistenziali, soprattutto amorosi che minano la vita dell’autore e lo portano ad un profondo senso di solitudine. Per questo il diario ha svolto una funzione estremamente importante per la creazione e la costruzione della figura dello scrittore solitario vinto dalla vita e dalla storia.
Come già detto in precedenza Pavese ha saputo creare il mito ancora oggi stimato, dello scrittore solitario vinto dalla vita e dalla storia, che cede infine al ‘vizio assurdo’ (il suicidio), vagheggiato tutta la vita. Tuttavia, non si può ricondurre il suicidio ad un semplice e riduttivo gesto impulsivo e di rinuncia: per tutta la vita lo scrittore pensa ad esso come all’affermazione di una libera scelta, come ad un viaggio chiarificatore/risolutore verso il mistero dell’esistenza. Tale intrigo trova la sua risoluzione nel concetto di eterno presente, condizione nella quale tutto vive e tutto si annienta in un ciclo sempre uguale a sé stesso dove nulla si crea o si distrugge e dove non c’è uno sviluppo che cambia le cose. Pavese carica il concetto di morte e, conseguentemente, di suicidio, di una forte tensione conoscitiva e li considera come unici gesti possibili per affermare la propria volontà. A testimonianza del ruolo della morte l’autore nel 1937 aveva scritto:

Non riesco a pensare una volta alla morte senza tremare a quest’idea: verrà la morte necessariamente, per cause ordinarie, preparata da tutta una vita, infallibile tant’è vero che sarà avvenuta. Sarà un fatto naturale come il cadere di una pioggia. E a questo non mi rassegno: perché non si cerca la morte volontaria, che sia affermazione di libera scelta, che esprima qualcosa? Invece di lasciarsi morire? Perché?


La Teoria del Mito
La centralità del mito nel pensiero di Pavese emerge con chiarezza nel dopoguerra, con la pubblicazione della raccolta Feria d’agosto (datata 1946), nella quale confluiscono racconti, prose, liriche ed enunciazioni di poetica composti in precedenza nelle quali lo scrittore tenta di delineare una chiara e coerente teoria del mito.
Il punto di partenza del discorso pavesiano è costituito dal riconoscimento del valore
assoluto del mito, che è uguale per tutti, un esempio che vale per sempre, ciò che non si dimostra condizionato dalle forme del conoscere finito o dal divenire. Il Mito conosce, dunque, il concetto di sopratemporalità e sopraessere(sopraessenza), (concetto) che racchiude in sé la vita/essenza del mondo nel suo infinito divenire. A tal proposito Cesare Pavese scriverà:


Il mito è insomma una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte,

e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori del tempo e lo
consacra rivelazione. Per questo esso avviene sempre alle origini, come nell’infanzia: è fuori del tempo.


Sulla linea delle teorie di Vico e Jung esistono patrimoni di conoscenze innate che ciascuno possiede esclusivamente per il fatto di appartenere al genere umano. Tale patrimonio viene però gradualmente dimenticato e soffocato dal pensiero logico-razionale tipico degli uomini nell’età adulta. Nel corso dell’infanzia l’uomo, però, immune dall’azione della ragione, vive il proprio mito personale, ovvero esprime al meglio le proprie conoscenze innate ma, crescendo, acquista consapevolezza di ciò, e si allontana dall’espressione di queste. Una volta allontanatosi da ciò è impossibile tornare indietro e si colloca a questo punto i desiderio dell’irrealizzabile ritorno alle origini,del viaggio indietro nel tempo verso il primitivo. In ciò la letteratura svolge un ruolo decisivo; essa inventa i miti, non nel senso che li crea dal nulla, ma nel senso che li porta a chiarezza, dà ordine e forma a ciò che, in sé, appartiene al caos primordiale. Lo scopo della letteratura è quello di portare a chiarezza i miti senza però tradirli dando una spiegazione razionale.

Traduttore del mito Americano
Nell'opera Pavesiana il momento dell'Università ha rappresentato per lo scrittore l'opportunità di avvicinarsi alla letteratura Americana. Egli ha contribuito infatti alla redazione della celebre ''Antologia Americana'', raccolta che ha contribuito alla diffusione del mito americano nella cultura italiana.

L'inappartenenza alla resistenza
Cesare Pavese vive negli anni del fascismo, periodo in cui la partecipazione Politica era di fondamentale importanza. Ciò genera nell'animo dello scrittore un conflitto tra la volontà di essere politiquement engagé e la sua profonda estraneità alle ideologie e alla politica in generale. Questo conflitto lacererà l'animo dello scrittore e ne determinerà un forte senso di inadeguatezza ed emarginazione.

lunedì 9 novembre 2015

Biografia di Cesare Pavese

07/11/2015, Riccione

Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo nel 1908, piccolo centro delle Langhe, da una famiglia benestante di contadini Torinesi. All’età di sei anni il giovane scrittore si ritrova a dover superare il dolore e lo strazio causati dalla morte del padre, deceduto a causa di un tumore al cervello.

Cesare Pavese
Questo fatto genererà nell’autore non pochi problemi che non verranno mai superati del tutto. Questa esperienza traumatica determinerà, in effetti, nell’animo di Cesare una forte difficoltà ad adattarsi alla vita e farà emergere in lui un marcato senso di diversità, emarginazione ed inadeguatezza. Al Liceo ‘D’Azeglio’ di Torino, Pavese ha come insegnante di Italiano e Latino Augusto Monti, autentica figura di maestro, non solo sul piano letterario, ma anche su quello morale e civile, in virtù del suo impegno antifascista.

L’università rappresenta per l’autore il momento della scoperta della Bohéme Torinese e della letteratura Americana; egli si laurerà, infatti, nel 1930 con una tesi su Walt Whitman, autore che avrà l’occasione di conoscere. Pavese inizia, durante gli anni dell’Università, una intensa attività di traduzione (egli reinterpretò persino i testi di Melville, tra i quali il celebre romanzo ‘Moby Dick’). I lavori dello scrittore rivestiranno un ruolo di grande importanza in tutti gli anni’30 perché contribuiranno alla diffusione del mito Americano, che promuoveva un mondo incorrotto, di libertà e di vitalità considerato come la patria ideale nella quale cercare ed esprimere sé stessi. Negli ambienti della traduzione Pavese incontra Fernanda Pivano, instancabile promotrice e divulgatrice della cultura e letteratura Americana, per la quale provò un forte sentimento di amore non corrisposto.

Cesare Pavese e Constance Dowling
Gli ultimi anni di vita dello scrittore sono caratterizzati dall’intensificarsi del suo lavoro letterario, pratica che porterà a Pavese successo e riconoscimenti che però non riescono a cancellare le incomprensioni del suo animo ed il suo tragico senso di solitudine. A far precipitare una situazione già precaria, giunge nel 1949 l’incontro a Roma con l’attrice americana Constance Dowling della quale Pavese si innamora subito; ma le sue speranze cadono ben presto quando Constance torna in America senza neppure avvertirlo. Dilaniato dal dolore e dal suo senso di profonda solitudine Pavese si toglie la vita il 27 Agosto 1950 ingerendo una forte dose di barbiturici nella stanza di un Hotel di Roma.

venerdì 6 novembre 2015

Monet - Treno nella Neve (1875)

6/11/2015, Forlì 


Da buon pendolare non poteva mancare un post sui treni! 


Monet, C. (1875). Le Train dans la neige, 78x59, Musée Marmottan Monet
Monet può essere considerato il massimo esponente del movimento artistico dell'Impressionismo. Egli ha intuito l'importanza dei giochi luminosi ed ha impiegato un nuovo metodo di pittura che comprendeva l'utilizzo di ombre colorare, pennellate fugaci e minuziose e il rifiuto del colore nero. In questo dipinto, il cielo ed il fumo del treno sono rese da due colorazioni di bianco diverse che danno un aspetto estremamente reale all'opera. Monet tenta di fissare l'istante, imbevuto di una particolare condizione luminosa e caratterizzato da una precisa situazione tipica di un paesaggio rurale. 

giovedì 5 novembre 2015

Füssli - L'Incubo (1781)

5/11/2015, Misano Adriatico

Avendo mangiato pesante la scorsa sera ed essendomi riempito di involtini primavera e ravioli al vapore questa notte ho avuto gli incubi. E dunque, quale occasione migliore di questa per parlare di un quadro che,sulla fine del 1781, ha per la prima volta posto l'accento sull'universo interiore ed inesplorato dell'uomo?

              ''L'incubo'' di Füssli (1781)
Questo quadro, per quanto insensato e spaventoso possa sembrare, anticipa invece uno dei più grandi cambiamenti nella storia della pittura; in effetti questo dipinto è uno delle prime opere che introduce l'uomo nel lato più ombroso, scuro ed inesplorato della sua vita: la psiche. L'Incubo di Füssli mostra, in effetti, un'immagine ipnagogica (che riguarda la fase di torpore che precede immediatamente il sonno) e rappresenta la dimensione onirica, sconosciuta e misteriosa all'epoca. Questa dimensione sarà poi esplorata e teorizzata tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, soprattutto con gli studi compiuti da Freud sull'interpretazione dei sogni. Il contesto del quadro è una camera da letto, che ci introduce già da subito in uno spazio intimo e privato nel quale possiamo osservare tre soggetti (il cavallo, il mostro, la ragazza) disposti in modo piramidale. Il vertice della piramide è rappresentato dall'incontro delle ''tende scure'' al di sopra del cavallo.

mercoledì 4 novembre 2015

Il Pagliaccio e la Filosofia - M.Zambrano

4 Novembre 2015, Forlì


Da buon pendolare prendo tutti i giorni il treno per recarmi all'università che dista circa 50 minuti da dove abito (tuttavia questi 50 minuti diventano molto spesso un'ora o addirittura un'ora e mezza).


Per il corso di letteratura italiana mi è stato chiesto di leggere un testo che ho trovato molto interessante: Il Pagliaccio e la Filosofia di Maria Zambrano, una delle figure più originali del panorama filosofico del Ventesimo secolo. In questo libricino (che si compone di sole 45 pagine ca.) vengono presentati alcuni tratti fondamentali della figura del clown, accostati ad una profonda riflessione di carattere filosofico.


In primis, il pagliaccio proviene dal dionisiaco, dai circhi e dalle fiere, e fa dunque parte di un mondo basso, nel quale il riso è uno dei pochi momenti di assenza di sofferenza e di dolore. Il pagliaccio appartiene alla terra e condivide la sorte di tutti coloro che guardano i suoi numeri. Il Clown non può evitare di identificarsi con il vagabondo, il povero in canna, colui la quale massima aspirazione è far ridere la gente. Scrive nell'introduzione la traduttrice del testo Elena Laurenzi:


''il pagliaccio non è una figura dalle altezze vertiginose: appartiene alla terra. Recita nella polvere delle strade e delle piazze , o sotto l'umile tenda di un circo. Non guarda il mondo dall'alto, ma sta con la gente , e condivide la sorte di una tormentata umanità facendone materia per la propria arte.''(p.10) 





Il pagliaccio abbraccia l'arte del riso inteso come moto dell'anima che scaturisce da una sorta di riconoscimento di intime verità; il riso non ci libera dal pensiero ma, anzi, lo accende. Il sorriso si dimostra lo strumento attraverso il quale il pagliaccio può mettere in scena il dramma della vita umana.


''Esibendo il suo lato ridicolo, offrendosi, il filosofo-pagliaccio mette in scena la titubanza, l'incertezza, l'imperfezione della stessa vita umana, che si muove a tentoni e senza copione''(p.16)



In secundis, il pagliaccio è un essere che ha attuato una vera e propria ''décreation de soi'', ovvero una vera e propria distruzione del proprio io. Il clown porta dentro di sé il vuoto, ed è incapace di adattarsi a quella che normalmente si dice vita. Questi, tenta di piegare il mondo ed i suoi gesti sembrano non seguire un filo logico. Tuttavia, tali gesti non obbediscono alle leggi fisse del mondo di tutti i giorni e, in questo senso, il clown compie una sorta di rivolta verso tutto ciò che lo circonda.


Infine, il pagliaccio può essere accostato al mondo della filosofia ed essere considerato una sorta di filosofo, che inciampa nelle cose vicine perché immerso nel pensiero di quelle lontane. Sia il clown che il filosofo sono ''l'Achille che non può raggiungere la tartaruga''. Entrambi creano una distanza con tutto ciò che li circonda e si muovono in un altro tempo. Compiono un fenomeno di alienazione che, agli occhi degli altri, li fa apparire come degli imbecilli perché creano delle distanze col contesto che li circonda ''nessuno sembra più simile a un imbecille di un uomo che sta pensando''(p.15). Il pensiero è dunque anche uno strumento di libertà. Inoltre, secondo la Zambrano, la vocazione poetica (che sta per l'atto magico del clown) non deve limitarsi all'esclusivo uso retorico degli strumenti linguistici, ma deve descrivere le cose più umili della realtà e tentare di approssimarne una immagine fuggevole nella vita degli uomini. In questo processo, però, la morte presta al pagliaccio la maschera, con la quale egli stesso interpreta la vita.

martedì 3 novembre 2015

L'importanza della Letteratura

3 Novembre 2015, Forlì

Leggere significa costruire, passo dopo passo, una nuova parte del nostro relativismo prospettico e ci aiuta a vedere le cose da più angolazioni differenti. È proprio nel momento in cui termini un libro che ti rendi conto, in effetti, di ciò che l'opera ti ha lasciato, e ti accorgi quale visione del mondo il testo ha costruito. La letteratura ci protegge dall'ignoranza, offre la possibilità di ampliare i nostri orizzonti ed è estranea alla generalizzazione e all'univocità. Leggere significa capire se stessi, fondersi con un'esperienza che è stata sottratta al tempo e resa eterna da chi scrive; la letteratura vince il tempo, l'ignoranza e l'incomprensione, verso sé stessi e verso gli altri.
                                                       

domenica 1 novembre 2015

Presentazione del Blog

Ciao a tutti!

Sono Gianluca, ho 19 anni. Adoro la musica e la letteratura e mi piace molto il ''lavoro'' da studente perché quello che studio mi appassiona. Studio a Forlì e sono al primo anno di Mediazione Linguistica Interculturale con Francese, Tedesco e Inglese. Sono del segno zodiacale dei pesci e la mia spiccata sensibilità mi porta molto spesso a scovare i moti d'animo più nascosti e più celati delle persone che mi circondano. Sogno di diventare insegnante e non posso fare a meno di vedere riferimenti letterari OVUNQUE! 

Ho sentito l'esigenza di creare questo Blog per ordinare e dare forma a ciò che i libri che leggono lasciano nella mia persona; da buon amante della musica ho avvertito inoltre il bisogno di ''fissare'' e rendere eterne le mie emozioni e le impressioni che una canzone suscita in me. 

Questo Blog è da considerarsi come una sorta di ''Zibaldone'' scritto da un semplice studente che, invece di costruire case su Minecraft o uccidere gente in GTA, preferisce compiere un profondo viaggio di introspezioni servendosi della letteratura e della musica per comprendersi meglio.  

Spero di non tediarvi
un carissimo saluto

Gianluca

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