Eduardo De’ Filippo ha sempre tentato di emancipare Napoli dal dilagante meridionalismo degli anni ’50 ed ha utilizzato questa città come mezzo e cornice per la maggior parte delle sue opere, come possiamo ben notare nel famosissimo sketch della Tazza di caffé presa sul balcone della sua modesta dimora. Eduardo ha sempre separato, infatti, la letteratura meridionale dallo stereotipo del meridione ed ha trovato il giusto compromesso tra teatro in lingua Napoletana (vernacolare) e in lingua italiana (standard) in un teatro nuovo.
Così come Pirandello e il Clown anche Eduardo ha elaborato una sua concezione del tema della maschera, approdando ad una vera e propria ''visione'': la maschera può esprimere sia la gioia sia il pianto e simula, con la sua staticità e fissità, molte espressioni diverse. Nel suo teatro i gesti sono essenziali e vengono, pertanto, amplificati dalla maschera. In questo senso questo strumento può essere considerato come una grande cassa di risonanza, che teatralizza al meglio i gesti semplicemente accennati degli attori. I temi dell'opera sono quelli tipici del dopoguerra, e riposano su una delle convenzioni sociali peggiori di tutto il sistema borghese: la fatidica frase "Se non hai i soldi non sei nessuno", tanto diffusa e apprezzata del capitalismo e dalla sua sovrastruttura concettuale basata sull'utilitarismo. Effettivamente Pirandello ed Eduardo sembrano condividere alcune caratteristiche tra di loro. Entrambi accostano dramma e comicità, entrambi lasciano il finale delle loro opere aperto a libere interpretazioni, entrambi fanno dell'ambiguità delle situazioni la propria materia letteraria, ed entrambi cercano di individuare e criticare la società del tempo facendo ricorso all'ironia e al detto-non detto.
Non bisogna inoltre dimenticare un altro dei punti cardine di tutto il teatro di De' Filippo: la comicità. Questa ha valore sociale, un riscontro reale e rispetta la realtà in quanto affonda le proprie radici proprio in quest’ultima. La comicità allude a ciò che accade nella società al giorno d’oggi e fa di ciò materia per le sue rappresentazioni. Qua è possibile trovare una grandissima frattura con il concetto di oggi che si dimostra legato, invece, prevalentemente alla parola, al gioco linguistico, e poco ai contenuti. Con la Comicità è possibile comunicare un messaggio ben preciso, passando per un ''canale'' diverso da quello linguistico. Ecco che funzione può avere un semplice spernacchio nella critica sociale. Sempre citando il fenomeno linguistico è necessario notare come il teatro di Eduardo sia capace di legare insieme due linguaggi e sciogliere il fenomeno di diglossia tipico della lingua italiana e del dialetto. Nelle situazioni più informali i personaggi si esprimono con un linguaggio vernacolare, in questo caso il dialetto napoletano, e questi ultimi sono espressione, a tempo stesso, di un determinato sistema di valori fortemente radicato nella varietà linguistica vernacolare. Le scene più formali sono, invece, in italiano. Adottando questo espediente ci si rende conto di quanto la lingua letteraria sia un carcere per il teatro poiché impone un processo di adattamento da parte dello scrittore; il dialetto, invece, essendo legato alla realtà e toccando le corde più intime dell'animo di chi scrive, permette al teatro di esprimersi compiutamente. Il grande teatro passa, dunque, per il dialetto, ovviando il filtro della lingua letteraria. Non era forse Pirandello colui che ipotizzò per la prima volta l'esistenza di scrittori di parole (improntati sull'arte della retorica e sulla lingua letteraria) e scrittori di cose (incentrati sulla poetica delle piccole cose e sull'espressione di sé per mezzo del dialetto)?
Quindi, in sostanza, quali sono i caratteri fondamentali del Teatro di Eduardo De Filippo? Il teatro è un mezzo di divulgazione diverso dalla televisione che racconta la gente, è legato alla realtà e si esprime con un linguaggio vernacolare (recitato nella lingua degli attori e senza i filtri della e della lingua standard), sottolinea l'importanza degli ideali e delle sovrastrutture concettuali dei personaggi e pone al centro dell'opera il valore della speranza, la miseria del dopoguerra proponendo un'analisi antropologica dei rapporti nell'habitat sociale criticando, al tempo stesso, i suoi costumi.
I fantasmi siamo noi quando non vogliamo ammettere che una realtà ci annienta
la sua teatralità.
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