Neologismo ideato da me che unisce le parole "binario" e "pensiero". Questo è un blog al crocevia tra le ferrovie e i miei pensieri, una sorta di diario personale, una raccolta di riflessioni fatte sullo sfondo del mondo dei convogli e del viaggio.
Riflessione sull'ipocrisia (tratto da una storia vera)
La vera domanda, quella che avresti dovuto fare è: “Cosa si cela sotto la maschera?” Io ti dico che dietro alle tue maschere c’è Dio, ci sei Tu, un essere eterno ed infinito, lo hai solo dimenticato. Ti sei identificato a tal punto nelle maschere che hai perso di vista chi sei veramente.La maschera come ti ho già detto, è uno strumento progettato per aiutarti a vivere in società, ma è solo uno strumento! Questo ha preso però il sopravvento e ti gestisce, non sei più l’attore che indossa le maschere ma sei diventato i personaggi delle varie commedie che interpreti, talmente identificato che quando te li togli di dosso non trovi niente e nessuno. Quel “Niente” che tu senti è in realtà il “Tutto”, tu non lo percepisci in quanto non ne hai ancora consapevolezza: tu sei la goccia nell’oceano, sei una cellula di un organismo, sei un atomo della materia. Quel Niente che percepisci rappresenta l’integrazione totale, è il passaggio dall’individuale al collettivo, la morte dell’ego. Sotto alle maschere vi è un “Essere Immortale” che è in grado di utilizzare tutti gli strumenti messi a sua disposizione per contribuire alla evoluzione dell’universo. (Tratto dal romanzo Dialogando con il maestro di Luigi Pirandello)
Non trovo passo della letteratura che possa spiegare meglio l'inconsistenza delle convenzioni borghesi e delle persone che vi aderiscono. La forma sociale prende il sopravvento sul vero essere e annienta ogni tipo di iniziativa personale e peculiarità. Forse è proprio questo ciò da cui gli uomini cercano di fuggire: l'insostenibile peso dell'eccezionalità che ci ricorda quanto in realtà, dietro lo sfarzo e il lusso che alcuni proiettano al loro esterno, si nasconda la loro misera insignificanza.
Ascoltavo un vecchio vinile che conservavo gelosamente in soffitta quando, tutto a un tratto, mi sono accorto della bellezza della canzone di Dé André Le Acciughe Fanno il Pallone. Un pezzo di raro pregio che, dietro ad un'apparente semplicità, nasconde un significato celato estremamente elaborato. La bellezza di questo brano emerge in particolar modo in una delle sue ultime esecuzioni live dello stesso De André al Teatro Brancaccio di Roma (1998):
Ma diamo un'occhiata più da vicino al testo che, nella sua linearità, nasconde non poche piste interpretative:
Le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
Le acciughe fanno il cosiddetto "pallone" quando si sentono attaccate dal loro predatore più temuto: l'alalunga. Il loro comportamento non è per niente ingiustificato, visto che tale pesce si ciba delle povere acciughe che, dopo esser sfuggite alle reti dei pescatori, devono preoccuparsi anche di questo nemico. Ciononostante, questa prima strofa è un invito a godere della vita, ad abbracciare il motto del Carpe Diem in tutte le sue possibili sfumature. Nessun tentennamento, solo fatti: il pescatore non può esitare nel lanciare la propria rete, altrimenti il pesce si sarà già volatilizzato. Ma qui la rappresentazione di tali esseri viventi sembra caricarsi di una valenza molto più alta rispetto a quella tipica del mondo rurale dei pescatori, per i quali vale tale detto. Scrive Nicolò Zancan a tal proposito:
"A Genova la storia si tramanda da generazioni. Al principio del mondo, le acciughe erano stelle. Fu la luna, invidiosa della loro luminescenza, a cacciarle in mare. Ecco perché tornano in superficie ogni volta, attirate dal miraggio artificiale delle lampare. Vorrebbero ricongiungersi al cielo, ma finiscono nelle reti. I pescatori di acciughe sono pescatori di stelle, in qualche modo."
Un rapporto ancestrale fra mare e cielo, riallacciato al presente grazie al mito e alla tradizione, preziosi argomenti di autorità nelle canzoni di Faber. Tuttavia, la Cultura (non a caso con la "c" maiuscola) nelle sue canzoni non è manifesta, bensì latente, visibile solo agli occhi dei lettori più addenti ed eruditi.
E alla riva sbarcherò
alla riva verrà la gente
questi pesci sorpresi
li venderò per niente
Qui sembra riproporsi ancora una volta il più grande errore nella storia dell'umanità: il passaggio dal baratto alla moneta. Le acciughe non sono più utilizzate per il loro valore simbolico ma sono reificate, ridotte a merce, e perdono la loro venatura poetica, culturale e folkloristica. La "riduzione" del cibo a moneta è un topos letterario parecchio diffuso nella letteratura italiana, prima fra tutti quella del dopoguerra, che vedeva nel cibo un simbolo di opulenza e deferenza sociale (si pensi al famoso pranzo come metafora dell'unificazione italiana ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
Se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente
Nella storia della letteratura l'acqua occupa un posto di rilievo poiché indice di purezza e base della cucina, in quanto ingrediente fondamentale per la preparazione dei cibi. Ciononostante, in questa strofa, l'acqua è agitata, è un torrente, che sembra rinviare ai moti cantati di Wolf Biermann nella sua celebre canzone Warte nicht auf bess're Zeiten (https://www.youtube.com/watch?v=GSw5H4tY29A) e che suggerisce l'idea di un rituale di purificazione.
Ogni tre ami
c'è una stella marina
amo per amo
c'è una stella che trema
ogni tre lacrime
batte la campana
Passan le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro
passan sotto le reti
che asciugano sul muro
Questo passaggio induce a una riflessione più profonda sulla simbologia stella marina. Nella simbologia cristiana la stella rappresenta la Vergine Maria, la Stella Maris per l'appunto, la stella del mare, che con amore aiutava i naviganti a viaggiare sicuri sulle acque agitate. Inoltre, tale simbolo marino era anche emblema di salvezza nei momenti difficili. La stella e la stella marina vengono viste come simboli celesti e, come tali, rappresentano l'infinito amore divino. Oltre all'amore, la stella possiede anche caratteristiche quali l'orientamento, la vigilanza, l'ispirazione, la brillantezza e l'intuizione. In questo contesto la stella marina sembra rimandare alla raffigurazione della povertà del mondo rurale che, "amo per amo", dipinge un bellissimo quadro della meticolosità e ripetitività del lavoro dei pescatori sulle loro reti.
E in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende
I segreti del mare si dimostrano inaccessibli a noi mortali, non possiamo fare altro se non osservare il mare in modo passivo mentre questo ci giudica. Ma forse è giusto così, poiché la mente umana non può esaurire ogni dubbio che la assale.
Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola
Bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare
sorso di vena dolce
che liberi dal male
Il tema della bottiglia si addice molto alla poesia. Secondo la "erste genuine Stimme der deutschen Republik" Durs Grünbein la poesia può essere considerata come un message in a bottle, un ritrovamento casuale, un'emersione ritrovata sul bagnasciuga per puro caso e letto con stupore dal fortunato. Ed ancora nel pensiero grünbeiniano ritroviamo l'immagine di una seppiolina, simbolo del poeta che risale dalle profondità della sua coscienza curioso dei tesori che porta alla luce.
Se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare
Un bel chiasmo qua, fra la piccolezza e l'apparente inutilità del pesciolino che, invece, per via dei suoi riflessi e per il ruolo fondamentale nell'alimentazione dei pescatori si trasforma in un pesce d'oro, scalzando dal podio l'alalunga nella catena alimentare.
Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
Ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
Le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne resta una
non te ne lascia una
non te ne lascia
Cornice di tutta la ballata è infine l'invito a cogliere l'attimo, sapiente monito per coloro che spesso stentano a prendere una decisione. Il pescatore che tentenna nel tirare la rete resterà senza dubbio a bocca asciutta.
Giorgi, L. (2019). ‘U Sfinciuni. Wafer. Ravenna: Sensoinverso Edizioni, “Collana Extra” LINK PER L'ACQUISTO
Ecco qua una short
story alquanto inusuale, priva (ma non del tutto) di riferimenti al mondo
del mare, incentrata tuttavia su di un contesto conosciuto alla maggior parte
del popolo italiano: quello del terremoto di Macerata del 30 Ottobre 2016. Non
si può dunque in questo caso non notare un intreccio molto forte fra Storia e
storia personale del protagonista che, nel genere fantasy, ogni tanto lascia il
posto a numerosi voli pindarici. Il dato reale è molto forte, sottolineato
dall’utilizzo, nei dialoghi, di espressioni a volte parecchio colorite che rinfocolano
il tono moderno dell’opera. Non a caso Brevini nella sua pubblicazione La letteratura degli italiani. Perché molti
la celebrano e pochi la amano ci ricorda che la vera letteratura italiana è
quella del dialetto, della libera espressione non soggetta alla mediazione di
una lingua che, nel XIX secolo, era percepita come imposizione da parte della
maggior parte degli scrittori. Giorgi
Il libro di Henry Bauchau citato nella
parte finale della recensione.
non scende a compromessi col dialetto ma distorce e abbassa vorticosamente il registro sull’incipit per “colpire” volutamente il
lettore e tenere viva la sua attenzione. Che dire, una sapiente retorica
propria dello stile di chi, con le parole, ci lavora. Non a caso Leonardo è
giornalista, ma sono fermamente convinto che non apostroferà mai nessuno, in uno
dei suoi articoli, con l’insulto “mangi di merda” o “butti i tuoi soldi per le
più grosse stronzate immaginabili”. Tal sorte non si applica purtroppo al protagonista
della short story che, invece, agli
albori della vicenda, vede vomitarsi addosso le peggiori cattiverie. Quello che
appare evidente è piuttosto un tentativo di venire a patti con uno stato
psichico paragonabile a quello della Trümmerliteratur
(letteratura delle macerie) della Germania del secondo dopoguerra: uno stato di
smarrimento, di mancanza di punti di riferimento, di attribuzione di colpe e
ricerca di spiegazioni razionali. Il terremoto non solo crea distruzione da un
punto di vista fisico e biologico ma anche psicologico e sociale, è una ligne de faille, un avvenimento
catastrofico che scinde la vita in un prima e un dopo. Non mancano infatti
continui riferimenti al concetto di sistematizzazione logica, rassicurante
antidoto contro un mondo che sembra mancare di razionalità. Destino o
casualità? Segno o caso? Un dilemma rimasto irrisolto da tempo. Preferisco però
lasciare inferire al lettore come questa dicotomia si applichi allo spirito dell'opera. La metafora del Wafer a
conclusione del racconto è parecchio esplicativa e rappresenta il déclic della “guarigione” del
protagonista che si converte alla filosofia del caso. Spesso la sociologia della letteratura si è interessata del
rapporto fra cibo e letteratura. I dolci sono oramai associati a un determinato
stato psicologico di sofferenza, chi non ha in mente la scena di una delusione
d’amore compensata con gli zuccheri contenuti in una vaschetta da 5kg di gelato
scofanata in solitudine davanti alla televisione guardando C’è posta per te? In questo caso il parallelismo non è per nulla
casuale, è solo sufficiente attribuirgli il significato metaforico di Sadia per
trovare la chiave di volta della vicenda. Ultimo ma non per importanza un
riferimento intertestuale che ho rintracciato in quest’opera con un testo della
letteratura francese contemporanea, Antigone
di Henri Bauchau,riscrittura del
mito greco dell’Antigone di Sofocle. Questo libro ci ricorda infatti che “C’est
lorsqu’on perd les points de repères que l’on se retrouve” (è quando si perdono
i punti di riferimento che ci si ritrova). Non a caso nel racconto si nasconde
un Edipo, al lettore di trovarlo.
10 agosto '19
Colgo inoltre l'occasione per ricordare che a breve uscirà il nuovo romanzo di Leonardo Giorgi. Stay tuned per rimanere al corrente degli sviluppi!
Rubboli, M. (2019). ‘U
Sfinciuni. Oltre le Nuvole. Ravenna:
Sensoinverso Edizioni, “Collana Extra” LINK PER L'ACQUISTO
L'album di Fabrizio de' André "Le nuvole" (1990)
Non capita spesso di leggere storie fantasy così tanto
intrise di poeticità come quella di Marco Rubboli intitolata Oltre le nuvole. Le nuvole sono forse un
tema che si addice di più ai poeti,basti
pensare ai cantautori che si sono interessati alle vaporose e noncuranti navi
bianche che svolazzano in cielo e ogni tanto si reificano in qualche album come
Le Nuvole di Fabrizio De’ André. Ma
qual è la vera funzione di questi giganti di zucchero filato? Forse non ci è
dato saperlo, ci basta però notare che spesso le nuvole filtrano i raggi del
sole dando vita a meravigliose colorazioni del cielo, soprattutto
all’imbrunire. Il parallelismo non è casuale poiché in tutta la short story è presente una minuziosa
attenzione al colore, una sorta di cromatismo capace di rinforzare
l’impressione di un reale narrativo “fittizio” che, forse, ogni scritto fantasy
dovrebbe avere. Vi è tuttavia un ulteriore elemento caratterizzante nella
vicenda, diametralmente opposto (o forse no) a quello nelle nuvole: la pietra.
In genere la letteratura, così come la filosofia, ci restituisce un’immagine
dei massi abbastanza negativa o ingombrante (si pensi al Mythe de Sisyphe di Albert Camus) che cozza brutalmente con quella
proposta da Marco Rubboli, la quale sembra diventare sempre più parte del
protagonista e proteggerlo dai mali e dai pericoli sul suo cammino. C’è un
momento molto bello nel quale le due istanze del protagonista e della pietra si sovrappongono, creando una sorta di sincretismo che li porta alla salvezza,
questa di colore azzurro, naturalmente, in virtù dell’accentuata attenzione
alle sfumature. È proprio questo il momento in cui si fa viva la liminalità
delle nuvole, dopo la resilienza del protagonista e il suo slancio verso
l’azzurro della salvezza. Franco La Cecla, nel suo libro Il Malinteso: antropologia dell’incontro, considera il malinteso
come un territorio di confine, liminale per l’appunto, nel quale le identità delle
persone si incontrano tra loro. Anche in questo caso parliamo di un territorio
al confine, nel quale due istanze si scontrano, ma preferisco lasciare al
lettore inferire quali queste siano. Concludendo, quello che emerge da una
lettura del testo è una grandissima attenzione al dettaglio, alle parole, e
alle nuances. Si tratta di un
bellissimo testo, di matrice impressionistica che assomma in sé resilienza,
liminalità e aspetti cromatici che rinforzano l’impressione del reale che ogni
tanto si perde nella narrativa fantasy. Il finale scioglie con un colpo di
scena la tensione creata a partire dalle prime righe. Un vero e proprio
viaggio. Dove, però, si scopre solo negli ultimi sospiri della narrazione.
Altri romanzi dell'autore: Rubboli, M. (2018). Per la corona d'acciaio, Roma: Watson Edizioni, "True Fantasy". LINK PER L'ACQUISTO
Propongo di seguito una bellissima poesia che mi ha toccato il cuore, non solo perché parla del mondo delle ferrovie ma anche perché riscopre un universo affettivo che, spesso, l'immagine delle strade ferrate tende a soffocare. I treni sono macchine, sì, ma sono anche guidate da persone. Qui il LINK al post originale se non volete perdervi nulla della magia dei convogli ferroviari.
Sono figlia di un uomo che con grande passione
ha guidato i nostri treni fino alla pensione
Vorrei in qualche modo cogliere e mostrare
un aspetto sconosciuto al viaggiatore, al pendolare
Mestiere duro quello del ferroviere
chi meglio di un famigliare lo può sapere?
le critiche sul campo, gli elogi alla direzione
i treni corron veloci e a guidarli son persone "Dove porti il treno domani papà?
Milano, Bologna, Torino, chissà...." "Passo vicino a casa, a che ora passerò?
tu aspettami al binario così ti suonerò"
A 10 anni la gioia non ve la so proprio dire,
il fischio di un treno lungo a non finire, "Quell'enorme biscione mi sta salutando,
mio padre mi ha vista e me lo sta mostrando"
Le nuove leve delle ferrovie italiane
I viaggi in cabina con lo sguardo sognante
sembrava di volare su quel binario luccicante
Gioie e dolori mi sovvengon senza freno
sentimenti paralleli come i binari di un treno
La tavola apparecchiata, sempre e a qualsiasi ora,
è il ricordo più buffo che mi porto da allora "Buonanotte bambine, a nanna senza obiettare,
papà arriva tardi e deve ancora mangiare" "Babbo Natale sta arrivando e tanti doni porterà,
io son stata buona, spero non sia di turno il mio papà" "Giocate tranquille, cercate di non urlare,
papà fa la notte e deve riposare"
Poi una faccia sconvolta e piena di dolore,
"Che succede papà? hai guidato per tante ore?" "Oggi una persona si è gettata sotto al treno,
a nulla son valsi il mio suonare e tirare il freno"
A chi pensa che questo sia un mestiere ben stipendiato
Franciosi, C. (2019). ‘U Sfinciuni. L’isola delle Sirene. Ravenna: Sensoinverso Edizioni, “Collana Extra” QUI PER L'ACQUISTO
Il racconto L’isola delle Sirene di Caterina Franciosi è senza dubbio un testo semplice, di facile lettura, che nasconde tuttavia una grande quantità di simboli e isotopie proprie del mare, a cominciare dal vecchio barbuto che narra la storia ai suoi nipotini, vera cornice della narrazione e detonatore del processo di digressione temporale tipica della tecnica narrativa del flashback. Un tempo incessante, scandito dal ticchettio dell'orologio, come Caterina ricorda anche nella sua short story Tic Toc (QUI il blog di Caterina se siete curiosi!). Sembra quasi che sia lui, in virtù della sua età, l’unico a poter parlare di uno dei lapalissiani segreti che il mare custodisce: le Sirene. Guai a peccare di hybris e tentare di dare una spiegazione razionale ai misteri dell’oceano. Come dimenticarsi della lacrima nell’oceano di Ulisse e della sottrazione di fluidi, quasi a sottolineare la gelosia e la presunzione dell’immensa distesa d’acqua? Il mare non si esprime, non
Una raffigurazione della Loreley di Heinrich Heine
consola, ma si intuisce cosa direbbe se potesse parlare. “Siamo tutti fratelli in mare” cita il racconto, forse un tentativo di recuperare una social catena oramai perduta fra chi cerca di opporsi all’impeto che nessuno risparmia, nemmeno chi ha perso tutto? Il tema delle sirene sapientemente tratteggiato in questa storia sembra ricondurci alla leggenda della Loreley di Heinrich Heine (della quale il celebre gruppo degli Scorpions ha cantato una bellissima ballata) per poi smentirla pienamente. In questo contesto le sirene sono spogliate di ogni significato mitologico e riattualizzate con uno nuovo, che lascio inferire al lettore. Di qui il tema della tempesta, come dice Branduardi, “se la vita è tempesta, tempesta allora sarà”. Il protagonista del flashback non si tira infatti indietro di fronte alle avversità del viaggio, ma le abbraccia con stoico spirito di iniziativa. Chi racconta non è più un eroe del presente che non sa per quali valori lottare, è un eroe classico, che ha ben chiaro il suo scopo e cosa fare per realizzarlo. In questo racconto ritroviamo quindi un bellissimo chiasmo giocato fra il recupero dell’eroe classico e la “rimozione” del mito della sirena seduttrice. Inutile infine rimarcare che lo stile di Caterina è unico e inimitabile, capace di far risorgere termini di rara bellezza e ricercatezza, quali ad esempio il verbo “baluginare” che, a mio avviso, si addice parecchio alla materia del racconto. Che dire, un “colpo di coda” in grande stile, quasi quanto il nome Nereios, diretto riferimento al movimento ondino delle acque del mare sulla riva che, purtroppo o per fortuna, solo chi ha solide competenze linguistico-filologiche riesce a cogliere ad una prima lettura.
Il primo anno di università non si scorda mai, soprattutto se ti ritrovi a dare l'esame di Letteratura Italiana. Tomi da leggere e concetti da far propri, interiorizzare e saper presentare in occasione della prova finale, la quale sortirà una valutazione in trentesimi. È un vero peccato che, per molti, la letteratura sia accostata solamente al dovere e alle elucubrazioni mentali di persone incapaci di vivere che sfogano le loro frustrazioni scrivendo lunghi e noiosi romanzi. Secondo alcuni studenti, che mi è capitato di conoscere in prima persona e che, nonostante tutto, ad oggi sono miei grandi amici, la Letteratura si dimostra lontana dalla realtà, anacronistica, in sostanza una fuga dal reale. È dunque molto difficile per le persone più pragmatiche di me (non che ci voglia tanto) concepire un intero esame su pagine e pagine da leggere nelle quali non spesso si ritrova alcun concetto.
Mi viene in mente dunque la distinzione di Adorno tra "Autonome Kunst" (Arte Autonoma) e "Engagierte Kunst" (Arte Impegnata). Con Autonome Kunst (intesa come arte pura, assoluta) si fa riferimento ad una pura arte formale delle parole che pone al centro dell’atto poetico l’autonomia della lingua rispetto alla società e al contesto storico nel quale essa nasce. La AK non vuole rimandare alla realtà ma è da considerarsi senza scopo, non influenzata dalle correnti circostanze politico-economiche. Nella AK l’accento è posto sulla creazione estetico-formale e non sulla materia/contenuto. Adorno parla in questo caso di Klangzauber (magia del suono). Con Engagierte Kunst si fa riferimento ad una letteratura impegnata che presuppone invece una presa di posizione in ambito religioso, sociale, ideologico o politico che mira al mutamento delle coscienza/consapevolezza dei lettori. La EK è la letteratura dell’azione, della presa di posizione, dell’entrata in relazione con la circostanza (contesto socio economico) e dell’espressione delle responsabilità personali dello scrittore nei confronti di alcune ideologie.
Ma qual è dunque l'approccio giusto che la Letteratura deve assumere nei confronti della realtà? A mio avviso, se, come dice il poeta, scrittore e drammaturgo Davide Rondoni, la letteratura è esperienza, la risposta mi pare alquanto ovvia.
Chissà quante volte vi è capitato di andare in vacanza, lasciando da parte le preoccupazioni quotidiane, e di riflettere su quale fosse la perfetta lettura estiva. Un dolce interrogativo che, senza alcun dubbio, lascia irrisposte non poche questioni: Che autore? Che genere? Quale lunghezza? Quale formato? Un libro impegnativo o una lettura leggera? Ebook o formato cartaceo (di cui un bell'articolo della mia carissima amica Caterina consultabile QUI)? Se non avete voglia di arrovellarvi ulteriormente di seguito la recensione, scritta da me, su uno degli "esiti più felici della narrativa fantasy":
Di seguito il link del blog della mia esimia collega, al quale potete trovare ulteriori recensioni in merito alla raccolta in questione QUI PER IL BLOG DI CATERINA
Il Canto del Mare
Franciosi, C. (2018) Il Marinaio e la Sirena. Milano: GDS, “Dreamscapes. I Racconti Perduti” - Link per l'acquistoQUI
Il racconto Il Marinaio e la Sirena di Caterina Franciosi è uno degli esiti più felici della narrativa Fantasy, capace di riprodurre, in una trama apparentemente semplice e lineare, lo stesso movimento delle onde del mare, reso con frasi brevi ma coerenti e coese che si susseguono esattamente come le onde sulla riva. Tale elemento discosta il racconto da quel “mare” (perdonatemi il pleonasmo) di Short Stories che si vedono spesso pubblicate online da autori privi di vere competenze. Si tratta di un testo che trova, nella linearità del suo stile, una perfetta ciclicità poiché la citazione posta all’inizio dell’opera apre e chiude la finzione narrativa. Niente di meglio che mettere subito in chiaro le cose con un “presagio” di addio, rappresentato da un argomento di autorità come la citazione di Fabrizio De André tratta dalla ballata “Il Re Fa Rullare i Tamburi” che, in questo caso, sembra subito creare delle aspettative e suggerire una direzione interpretativa ben precisa. Che nel testo si celino per caso altri riferimenti a qualcuna “che gli ha rapito il cuore”? Nel testo i richiami al mondo della musica sono molteplici, a partire dal flauto e dall’antica melodia della quale il Marinaio si ricorda nelle prime pagine. È per caso una metafora della musica del mare? Restando in materia, già dall’incipit ho trovato questo racconto molto interessante per via delle sue involontarie analogie con la celebre La Leggenda di Cristalda e Pizzomunno di Max Gazzé; il perché mi pare ovvio se avete letto il libro e ascoltato la canzone! Passando ai personaggi, trovo la loro caratterizzazione molto azzeccata, resa con termini ricchi di sfumature ma che, al tempo stesso, sembrano disegnare minuziosamente i contorni di una sagoma, o forse due: quelle dei nostri protagonisti. Di Eveline e Frank dei Dubliners ne avete mai sentito parlare? James Joyce sicuramente sì! Concludendo, un bel racconto, di spessore, diverso da tutti quelli che si leggono in giro, scritto dalla sapiente mano di una giovane scrittrice che, in una storia di poche pagine, ha tematizzato, a sua insaputa, il saldo anello di congiunzione tra la musica e l’uomo: il mare. Un’affascinante Short Story, da leggere sotto l’ombrellone in spiaggia o in una tranquilla sera d’estate sul proprio balconcino guardando il mare, la colonna sonora perfetta per la lettura. Il Canto del Mare diceva Zarrillo, o sbaglio?